Protesi dell’anca, quando intervenire?
Grazie all’evoluzione nei materiali utilizzati, l’intervento di Artroprotesi d’anca, seguito da una buona Riabilitazione, permette l’eliminazione del dolore e la ripresa delle normali attività
L’intervento di Artroprotesi d’anca, ossia la sostituzione completa dell’articolazione malata dell’anca con una protesi, consiste nella sostituzione chirurgica dell’acetabolo, incavo osseo facente parte integrante dell’articolazione stessa, e della testa del femore danneggiati e dolorosi, con elementi artificiali realizzati in leghe metalliche, materiali plastici e/o ceramiche. L’obiettivo è eliminare il dolore e migliorare la funzionalità dell’anca, consentendo al Paziente di riprendere le attività che praticava in precedenza allo sviluppo del danno articolare.
Questo intervento è ormai molto diffuso, tant’è che ogni anno in Italia sono impiantate circa 100.000 Protesi d’anca e il numero è in crescita negli ultimi anni.
Le cause di danno articolare
Le Protesi d’anca hanno rivoluzionato il trattamento di quelle malattie che provocano non solo dolore ma anche limitazione gravemente invalidante di molteplici e semplici attività della vita quotidiana come camminare, salire e scendere le scale e perfino allacciarsi le scarpe.
La causa principale per cui si ricorre alla Protesi d’anca è l’Artrosi primitiva dell’anca dovuta ad un danno della cartilagine articolare che peggiora con l’avanzare dell’età. Accanto ad essa, vi sono le Artrosi dette secondarie, nelle quali la degenerazione dell’articolazione è causata da patologie come Artrite reumatoide, morte ossea localizzata della testa del femore e conseguenze di traumi o di patologie pediatriche, quali ad esempio l’anormale sviluppo o lussazione dell’anca e lesione della cartilagine femorale.
Quando intervenire
Sempre più frequentemente, le Protesi totali dell’anca vengono impiantate per il trattamento delle fratture intracapsulari del femore prossimale nei Pazienti con vita attiva, in alternativa alla Protesi parziale d’anca che viene riservata a Pazienti anziani con richieste funzionali inferiori.
Nelle fasi iniziali dell’Artrosi dell’anca il dolore può essere contrastato con la Fisiochinesiterapia, le Terapie fisiche e la Terapia farmacologica antidolorifica. Quando il dolore e la difficoltà a camminare, associati all’evidenza radiografica di una compromissione articolare, diventano invalidanti e qualora non vi sia più giovamento dal trattamento conservativo, diventa opportuno un intervento chirurgico di impianto di Artroprotesi.
Un intervento complesso
L’intervento, seppur molto frequente e diffuso nella pratica chirurgica ortopedica, presenta però alcune controindicazioni. Non è infatti possibile eseguire l’intervento quando sono presenti infezioni localizzate o diffuse, malattie neurologiche che causano problemi muscolari o patologie in cui l’osso viene sottoposto a un rapido deterioramento.
Bisogna inoltre ricordare che si tratta di un intervento ortopedico maggiore e quindi deve essere ben pianificato, considerando in modo particolare lo stato di salute generale del Paziente e le malattie di cui soffre, come Cardiopatia grave, Insufficienza respiratoria, Diabete scompensato, Insufficienza renale e Immunodeficienza. Devono anche essere considerate la condizione psicologica del Paziente, la sua capacità di adattarsi e di accettare le terapie proposte dal Medico e la necessaria Riabilitazione che seguirà l’intervento chirurgico.
Dopo l’intervento possono insorgere anche delle complicazioni quali ad esempio infezioni della ferita o della Protesi, riduzione dell’emoglobina nel sangue al di sotto dei livelli di normalità che può richiedere la necessità di trasfusione, ematomi, Trombosi venosa profonda ed Embolia polmonare, lesioni nervose o vascolari, lussazione della protesi, formazione di tessuto osseo in tessuti extra-scheletrici, differente lunghezza degli arti, zoppia, dolore residuo in sede di intervento e fratture dell’osso circostante la Protesi.
La scelta dei materiali
È certamente un aspetto molto importante, dal momento che l’impianto deve durare per molti anni e resistere a carichi di lavoro elevati. Le più recenti innovazioni sono rappresentate dall’evoluzione nei materiali utilizzati, il design dell’impianto e gli approcci chirurgici mini-invasivi con risparmio dei tessuti molli che dovrebbero permettere una Riabilitazione più rapida e un decorso postoperatorio caratterizzato da un dolore minore.
I materiali più moderni utilizzati oggi sono costituiti dal titanio o tantalio poroso, metalli biocompatibili che presentano una struttura molto simile a quella dell’osso permettendo in questo modo la fissazione e l’integrazione tra la Protesi e l’osso. Sono disponibili inoltre materiali quali la ceramica che, sebbene da un lato riducano il rischio di produrre materiale d’usura nocivo, dall’altro devono essere posizionati nella maniera più accurata possibile per evitare la rottura della Protesi. Gli accoppiamenti tra i vari materiali sono sostanzialmente i seguenti:
- metallo e polietilene: accoppiamento “classico” in uso dagli anni sessanta, migliorato negli anni grazie allo sviluppo dei materiali plastici più duri per ridurre i processi infiammatori locali che portano alla mobilizzazione della Protesi;
- ceramica e polietilene: accoppiamento molto usato, sicuro e con un basso tasso di usura;
- ceramica e ceramica: caratterizzato da una bassissima usura e da una bassa risposta infiammatoria locale che riduce il rischio di mobilizzazione;
- metallo e metallo: è un modello a metà strada tra quelli descritti e recentemente poco utilizzato a causa del rilascio degli ioni metallici che determinano una risposta infiammatoria locale marcata e presunti rischi di cancerogenicità seppure mai effettivamente dimostrati in studi scientifici.
Quale tipo di protesi?
Esiste un’ulteriore differenza tra Protesi cementata e non cementata. Nei Pazienti in buono stato di salute, giovani e con una buona qualità ossea, la scelta verterà verso la Protesi non cementata, in cui la fissazione si ottiene attraverso un meccanismo di “press fit”, ovvero di interferenza e bloccaggio “a pressione” della Protesi contro l’osso ospite.
La Protesi cementata è invece realizzata inserendo uno strato di cemento che funge da collante tra l’osso e l’impianto, e viene utilizzata quando è presente una scarsa qualità dell’osso e nei Pazienti di età più avanzata.
Negli ultimi anni la tecnologia ha sviluppato numerosi modelli protesici in grado di preservare il più possibile l’osso del Paziente e di riprodurre così il funzionamento articolare in maniera più naturale possibile. I vantaggi consistono nell’aumento della stabilità dell’impianto, nella distribuzione più fisiologica dei carichi, nella minore incidenza di dolore della coscia e in una maggiore sopravvivenza della Protesi. Infine, l’avere preservato l’osso durante il primo intervento facilita, qualora sia necessario, l’eventuale sostituzione della Protesi con un una nuova.
Preservare i tessuti
Un’altra evoluzione consiste nell’approccio chirurgico e nella gestione dei tessuti molli: si parla infatti di “Chirurgia a Risparmio dei Tessuti”. Questo non significa soltanto incisioni ridotte e quindi facilmente mascherabili sotto la biancheria intima, ma anche una dissezione chirurgica più risparmiosa, un migliore controllo del dolore postoperatorio e del sanguinamento che si dovrebbe tradurre in una minore necessità di trasfusione e in una più rapida ripresa delle normali attività del Paziente.
La degenza dell’intervento chirurgico è di circa 3-7 giorni, durante i quali viene controllato il dolore postoperatorio con l’aiuto di farmaci e già dalla prima giornata postoperatoria viene intrapreso un programma riabilitativo.
La Riabilitazione
Il programma riabilitativo postoperatorio ha come obiettivi il recupero dell’articolarità, della forza muscolare, della coordinazione e dello schema del cammino tanto più difficili da ottenere quanto più la situazione dell’arto era compromessa prima dell’intervento.
Per un ottimale recupero è consigliabile affidarsi ad un qualificato Centro di Riabilitazione, dove verrà intrapreso il programma riabilitativo.
Generalmente nell’arco di circa un mese si abbandonano gli ausili per la deambulazione e si sospende la terapia antitromboembolica e quindi l’uso delle calze elastiche. Il ritorno completo alla vita normale di relazione può avvenire in tre mesi. Dopo l’abbandono delle stampelle e il completo recupero della forza muscolare, dell’articolarità dell’anca e della ripresa dell’attività lavorativa, si consiglia comunque di dedicare almeno trenta minuti al giorno all’esercizio muscolare continuando ad eseguire gli esercizi imparati durante la rieducazione. La cyclette può essere utilizzata in aggiunta ma non in sostituzione degli esercizi consigliati. Gli esercizi raccomandati dal Fisioterapista sono fondamentali per mantenere nel tempo un’adeguata forza muscolare, una buona articolarità dell’anca e un buon trofismo osseo come prevenzione anche dell’Osteoporosi.
Il Paziente viene quindi seguito con controlli clinici e radiografici annuali durante i quali ci si assicura del buono stato della Protesi, valutandone i possibili segni di usura.
La durata di efficacia della Protesi mediamente è di 15-20 anni. Successivamente, ove necessario, potrà essere eseguito un nuovo intervento di sostituzione protesica.
Per concludere, occorre sottolineare che nonostante l’impianto di Artroprotesi d’anca sia certamente un intervento che ha reso possibile il miglioramento della qualità di vita dei Pazienti colpiti da Artrosi, non bisogna dimenticare che si tratta di un intervento di Chirurgia maggiore, quindi è necessario valutare caso per caso i rischi e i benefici.
Dott.ssa Chiara Ratti
Dirigente Medico Clinica Ortopedica e Traumatologica Ospedale di Circolo – Università dell’Insubria – Varese
Prof. Paolo Cherubino
Direttore Clinica Ortopedica e Traumatologica Ospedale di Circolo – Università dell’Insubria – Varese
Presidente S.I.O.T. (Società italiana di Ortopedia e Traumatologia)
Elisir di Salute • marzo-aprile 2015
