Terapia anticoagulante, facciamo il punto
La ricerca scientifica ha contribuito in modo notevole a migliorarne qualità ed efficacia, aumentando la sicurezza di questo trattamento salvavita
La Terapia anticoagulante, effettuata mediante somministrazione di farmaci anticoagulanti, in grado cioè di ridurre la fisiologica tendenza del sangue a coagulare, ha lo scopo di mantenere più fluido il sangue circolante evitando in questo modo la formazione di coaguli all’interno dei vasi sanguigni (e il conseguente rischio di Trombosi). Questi coaguli, definiti anche trombi, ostacolano totalmente o parzialmente la circolazione sanguigna negli organi interessati e ne impediscono la loro normale funzione con gravi conseguenze per il Paziente. Il rischio di formazione di trombi è presente in numerose condizioni cliniche. Le persone che seguono la Terapia anticoagulante per tutta la vita sono molto numerose: nel nostro Paese si stima che siano oltre un milione, con punte più alte in alcune regioni rispetto ad altre.
Quando viene prescritta
La Terapia anticoagulante viene prescritta per numerose condizioni cliniche, non solo come cura della malattia ma anche come prevenzione di gravi complicazioni circolatorie legate alla patologia di base. La condizione clinica che più frequentemente richiede oggi un trattamento anticoagulante cronico è la Fibrillazione Atriale, un disturbo del ritmo cardiaco che spesso si riscontra nella popolazione generale, soprattutto negli anziani. Questo disturbo comporta un rischio elevato di formazione di un trombo nella cavità cardiaca, da cui si può muovere (Tromboembolia) andando a chiudere un vaso sanguigno nel cervello (provocando quindi Ictus) o nella circolazione periferica.
Un’altra frequente condizione clinica che richiede la Terapia anticoagulante è quando si verifica una Trombosi nelle vene degli arti (Trombosi venosa profonda), che può complicarsi con un’Embolia polmonare e possibili gravi conseguenze, anche sulla vita stessa.
Meno frequenti sono altre condizioni cliniche che richiedono un trattamento cronico anticoagulante. È questo il caso di Pazienti che hanno subìto interventi di Cardiochirurgia con sostituzione di valvole cardiache mediante protesi meccaniche, per i quali è indispensabile una costante protezione anticoagulante per evitare complicazioni trombotiche della valvola sostituita o la partenza di emboli da queste valvole. In tutti questi casi, e in altri ancora, la Terapia anticoagulante è estremamente efficace nell’evitare complicanze.
I farmaci anticoagulanti anti-vitamina K
Fino a pochi anni fa era disponibile un’unica tipologia di farmaci anticoagulanti somministrati per via orale e utilizzati per effettuare la Terapia anticoagulante cronica: stiamo parlando dei cosiddetti “antivitamina K” (con nomi commerciali di “Coumadin” o “Sintrom”).
Il meccanismo d’azione degli anticoagulanti antivitamina K si basa sull’inibizione del ciclo biologico della vitamina K (vitamina liposolubile indispensabile per i normali processi di coagulazione del sangue).
Gli anti-vitamina K contrastano l’effetto biochimico della vitamina K, inibendone il ciclo biologico. Inibendo il ciclo della vitamina K, i livelli dei fattori vitamina K-dipendenti (fattori II, VII, IX e X, che necessitano della vitamina K per svolgere la loro funzione biologica e che svolgono una attività procoagulante) si riducono e quindi è ridotta la coagulabilità del sangue con minor rischio di formazione di trombi.
Analisi periodica della coagulazione del sangue
L’effetto anticoagulante di questi farmaci è tuttavia molto variabile da persona a persona, risente della quantità di vitamina K introdotta attraverso la dieta (in quanto presente in diversa quantità negli alimenti) ed è influenzato dall’associazione con numerosi farmaci. Per l’alta variabilità dell’effetto anticoagulante tra i diversi soggetti, e anche nello stesso Paziente in momenti diversi, la dose giornaliera dei farmaci anticoagulanti antivitamina K può cambiare e deve essere regolata secondo il risultato di un Test di laboratorio (INR, che fornisce indicazioni sul tempo di coagulazione del sangue) che richiede un prelievo di sangue e che deve essere ripetuto abbastanza frequentemente.
L’obiettivo del controllo di questi farmaci è pertanto quello di mantenere il loro effetto entro specifici valori di INR, che nella maggior parte delle indicazioni cliniche devono essere mantenuti tra 2,0 e 3,0.
Quale alimentazione durante la terapia?
Si è già detto che l’effetto anticoagulante dei farmaci antivitamina K è basato sull’inibizione della vitamina K, che è introdotta con gli alimenti. A parte altri fattori di variabilità individuale, legati prevalentemente a diversi assetti genetici degli enzimi coinvolti nel ciclo metabolico della vitamina K, è ragionevole ritenere che vi possa essere una relazione tra quantità di vitamina K introdotta con la dieta e la dose necessaria di farmaco antivitamina K per raggiungere un efficace livello anticoagulante. Questa relazione ha però indotto a erronei atteggiamenti e indicazioni a questo proposito da parte di Professionisti e a messaggi sbagliati ai Pazienti e loro famigliari. Durante la Terapia anticoagulante con anti-vitamina K è sbagliato invitare i Pazienti a seguire diete che riducono l’introduzione di vitamina K. A parte casi eccezionali di spiccata variabilità, è sempre raccomandato di seguire una dieta varia, equilibrata e senza restrizioni di alimenti a più alto contenuto di vitamina K. È infatti sbagliato ridurre l’apporto di vitamina K in quanto, soprattutto nelle persone anziane che hanno scarse riserve di questa vitamina, un suo basso livello fa aumentare la variabilità dell’effetto anticoagulante (aumenta la variabilità dei risultati di INR).
Va però precisato che l’aspetto più importante della dieta è la costanza nell’arco della settimana: occorre evitare variazioni improvvise. Per questo è da raccomandare una stabilità del tipo di alimentazione, senza tuttavia porre restrizioni per nessun alimento.
I più recenti anticoagulanti orali
Da qualche anno sono disponibili per l’uso clinico cronico quattro nuovi farmaci anticoagulanti orali che sono stati messi a punto e valutati mediante studi clinici di grandi dimensioni e di alto valore scientifico. Questi farmaci hanno meccanismi d’azione completamente diversi dagli antivitamina K e diversi anche tra loro.
Il dabigatran inibisce direttamente la trombina (effetto anti-IIa), l’enzima che compare in circolo come effetto finale del processo coagulativo e che trasforma il fibrinogeno in fibrina (base materiale del trombo insieme alle piastrine del sangue).
Il meccanismo d’azione degli altri tre farmaci è invece basato sull’inibizione diretta del fattore X attivato (effetto anti-Xa), fattore che esercita un ruolo chiave nel regolare l’entità e la velocità del processo coagulativo.
Vantaggi e controindicazioni
Gli studi clinici finora disponibili hanno dimostrato una loro efficacia e sicurezza almeno uguale rispetto agli anticoagulanti tradizionali e in alcuni casi anche maggiore.
I potenziali vantaggi sono numerosi: a partire dall’uso di dosi giornaliere fisse, senza necessità di controlli di laboratorio di routine, con conseguente miglioramento della qualità di vita dei Pazienti e, soprattutto, una significativa minore frequenza di emorragie intracraniche (problema grave che si riscontra soprattutto nei Pazienti anziani). È ovvio che come per tutti i farmaci, anche questi nuovi anticoagulanti hanno limitazioni e controindicazioni (come per esempio la presenza di grave disfunzione renale), per cui è essenziale che siano prescritti seguendo le necessarie indicazioni e precauzioni.
Vi sono ancora punti critici relativamente al loro uso, quali ad esempio la mancanza di antidoti (ad eccezione del “dabigatran” che è l’unico che ha un antidoto dal 2015 o 2016), cioè la possibilità di neutralizzarne rapidamente l’effetto quando ce ne fosse la necessità. Ma anche questa importante limitazione verrà sicuramente superata grazie alla ricerca in corso.
Il contributo della ricerca scientifica
In questi anni, i progressi nell’uso clinico allargato della Terapia anticoagulante sono stati notevoli, aumentando la sicurezza di questo trattamento salvavita, il cui rischio principale è quello della comparsa di emorragie, che possono essere anche gravi. La ricerca scientifica ha contribuito in modo notevole a migliorare la qualità e i risultati di questa terapia. I Clinici e i Ricercatori italiani hanno dato un contributo notevole alle acquisizioni scientifiche e alle applicazioni pratiche in questo campo, contributo che è sicuramente riconosciuto a livello scientifico internazionale.
Tratto da Elisir di Salute (copyright)
il punto di vista di medici e ricercatori
luglio/agosto 2018
Dott. Gualtiero Palareti
Presidente AIPA – Bologna
(Associazione Italiana Pazienti Anticoagulati)
Presidente Fondazione Arianna Anticoagulazione
Bologna
Elisir di Salute • luglio-agosto 2018